Come in ogni campo economico-sociale, anche in sanità, la sicurezza e la definizione dei profili di responsabilità è la conditio sine qua per la definizione di un nuovo standard.
Le aspettative dell’utenza sono il primo nodo da sciogliere: bisogna evitare una dinamica, già nota in responsabilità sanitaria, con la tendenza ad innalzare, talvolta eccessivamente, lo standard di diligenza minimo richiesto ai professionisti.
La responsabilità stessa è uno svincolo cruciale: stante la sempre maggiore interdipendenza tra cure e tecnologie, come circoscrivere a livello normativo e assicurativo la malpractice tecnologica? Il confine tra rischio informatico e rischio clinico si fa, infatti, sempre più permeabile al punto che il concetto stesso di cybersecurity necessità di un aggiornamento difronte alla doppia esigenza di garantire informazioni sicure e, nello stesso tempo, facilmente scambiabili.
I dati sono strumenti di cura, ma prima di poter utilizzare algoritmi nei processi di prevenzione, diagnosi e cura, diventa necessario verificare la validità dell’addestramento e l’affidabilità degli output clinici, in quanto scientificamente riproducibili e validati dalla comunità scientifica, ma quale? Mondiale, europea, nazionale, regionale?
In conclusione, se è vero che le regole generali in tema di responsabilità sanitaria (della struttura e/o del singolo professionista) devono essere applicate anche all’ambito della telemedicina, è altrettanto innegabile che tale modalità di erogazione assistenziale, per le peculiarità che la contraddistinguono, richiede necessariamente considerazioni specifiche e mirate. Quali?